Il cammino della speranza

il cammino della speranza

 

“La rimoralizzazione non puó ridursi a una lezione di morale. Occorre far regredire l’egemonia del profitto e dare nuovo impulso alle forme di solidarietà restaurando, con l’esempio e con una maggiore severitá, la moralità degli amministratori e dei dipendenti statali. Proponiamo la creazione di un Consiglio di Stato etico per quanti vogliano intraprendere una carriera pubblica che comporti responsabilità e potere.”

“Il cammino della speranza” è un manifesto scritto da Stéphane Hessel e Edgar Morin, due persone di un’altra epoca, del 1917 il primo, del 1921 il secondo. Due persone che hanno vissuto la guerra totale in prima persona, la distruzione, la ricostruzione e la decadenza e che, a differenza di Adriano Olivetti, credevano in questo sistema.

Attraverso questo scritto, ho potuto apprezzare piú affondo lo spirito che animava gli uomini del dopoguerra, quelli che la Democrazia l’hanno sognata e creata.

La Demarchia é antitetica alla restaurazione degli amministratori, sia pur se dotati di quella moralità che auspicano gli autori. La Demarchia auspica l’utilizzo del sorteggio come strumento democratico e seppur si tratta di uno strumento vecchio come la democrazia stessa, la sua applicazione oggi sarebbe rivoluzionaria.

Ma vi invito a leggere questo libro che tratta degli stessi temi che ieri cosí come oggi, rappresentano la vera sfida al raggiungimento del sogno democratico. Ripensare l’idea di Sovranitá, di Globalizzazione e Deglobalizzazione, di Europa, di presente e passato, di stile di vita, di ambiente, di cittá e di campagna, di servizio civile, corruzione, economia, istruzione, insomma, ripensare la democrazia.

“La riforma del pensiero permetterà di frenare la regressione democratica suscitata, in tutti i campi della politica, dalla crescente autorità dei tecnici, specialisti di ogni genere (aggiungo gli specialisti della politica), la quale riduce la competenza dei cittadini, condannati alla cieca accettazione di decisione emanate da coloro che si suppone sappiano, ma che praticano, in effetti, un’intelligenza particellare e astratta, che atomizza la globalità e la contestualità dei problemi”

Democrazia senza partiti

democrazia senza partiti

“All’alba di un mondo che speravamo nuovo, in un tempo difficile e duro, molte illusioni sono cadute, molte occasioni sfuggite perché i nostri legislatori hanno guardato al passato e hanno mancato di coerenza o di coraggio. L’Italia procede ancora nel compromesso, nei vecchi sistemi del trasformismo politico, del potere burocratico, delle grandi promesse, dei grandi piani e delle modeste realizzazioni. Riconosciamo francamente una mancanza di idee, una carenza di uomini, una crisi di partiti”. Cosí apre “Democrazia senza partiti” di Adriano Olivetti, scritto pubblicato nel 1949.

Questo libro è interessante sotto molti aspetti, primo fra tutti quello di mettere in discussione il modello partitocratico della democrazia. Ma andiamo con ordine. L’autore, Adriano Olivetti (1901-1960), imprenditore, intellettuale e politico, una delle persone piú influenti e singolari del novecento. Nell’”Edizioni di Comunitá” , viene presentato da Stefano Rodotá, giurista, editorialista e saggista di fama internazionale. Vi invito ad approfondire la biografia di questi personaggi su wikipedia.

Lo scritto è un manifesto del nuovo ordine immaginato da A.O che si ispira a tre principi: comunità concrete, a base territoriale, con l’ordine funzionale. Si tratta di una critica alla democrazia rappresentativa che approda alla rivendicazione di un democrazia “integrata”, insediata cioè nelle comunità reali, alimentando una discussione ancora attuale sulla forma della società e della politica in forme che rendano possibile il decentramento e la partecipazione, dando fondamento all’articolo 3 della Costituzione “partecipazione di tutti i lavoratore all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

“Nel nuovo Stato il potere poggerá saldamente non piú su una forza sola, la democrazia, la quale è troppo facile preda della potenza del denaro. Il potere sará ancorato alla cultura giuridicamente organizzata e, nel contempo, al lavoro sará conferita una ben determinata potenza politica ” A.O.

Citando S. Rodotá, “Bisogna tuttavia evitare la tentazione di restituire a questo scritto sui partiti una ambigua attualità”, ma è “legittimo indagare nel disegno olivettiano taluni elementi costitutivi”. Gli elementi che piú mi hanno colpito riguardano l’articolazione della società, la ricerca di un sistema piú partecipativo e per la lucida critica al sistema democratico basato sui partiti, per molti aspetti ancora attuale.

Libro consigliato!

Utopia

Utopia, è un libro che fu scritto da Thomas More tra il 1515 e il 1516.

More fu MP e vicesceriffo di Londra, consigliere di Enrico XIII nonché Lord Chancellor of England, fu in definitiva un personaggio molto influente dell’epoca e anche autonomo. Morí infatti giustiziato per non aver riconosciuto il proprio Re come unico capo della chiesa.

Utopia é da sempre al centro di una disputa d’amore tra Cattolici e Comunisti per la sua proprietá intellettuale. In realtá il libro ha molte sfaccettature, prima fra tutte la satira.
Sono disponibili molte recensioni di Utopia, qui vorrei spiegare perché trovo che questo scritto faccia parte dei discorsi sulla Demarchia, anche se inon direttamente.
Il motivo é che Utopia traccia uno schema per una societá perfetta; ovviamente More non voleva fornire la soluzione ma contribuire al dibattito per una riforma dello Stato. Al centro vi sono la Repubblica e la comunione dei beni, ed il metodo principale di selezione delle cariche é il voto e non il sorteggio, che a dire il vero non é contemplato.
Nonostante tutto, in questo libro ho trovato molto interessanti le idee proposte, tenendo conto anche da chi e quando furono scritte. In quel periodo erano ormai ben noti anche i sistemi usati nei comuni Italiani, primo fra tutti quello di Venezia.

Infine trovo affascinante il concetto di uguaglianza che é centrale in questo libro. Il sorteggio é il sistema principe per la sua applicazione in politica tanto che Montesquieu scriverá del pericolo di un estremo egualitarismo.
Libro consigliato!

The Political Potential of Sortition

Riporto alcune delle conclusioni tratte dal libro “The Political Potential of Sortition” di Oliver Dowlen. Questo libro contiene una buona ricerca storica dell’uso del sorteggio in politica, dagli antichi greci fino alla rivoluzione Francese. Fornisce anche alcuni strumenti attraverso il quale l’autore cerca di categorizzare i diversi usi del sorteggio presentati, dando anche un personale giudizio del suo uso come “appropriato” o meno nelle varie circostanze.

L’aspetto più significativo che è possibile dedurre da questa ricerca storiografica dell’uso del sorteggio in politica è la sua esistenza come metodo di selezione delle cariche amministrative e politiche. Oggi è poco noto, ma tali sistemi furono usati in diversi contesti storici e furono anche molto longevi. L’uso del sorteggio in politica nell’antica Atene durò circa 3 secoli, dal 594 AC, fino alla caduta di Atene nel 322 AC. A Venezia il ballottaggio fu usato dal tredicesimo secolo fino quasi al diciottesimo mentre a Firenze fu usato continuativamente dal 1328 fino al 1434, per essere poi reintrodotto parzialmente per un più breve periodo nel 1466. Le giurie popolari di tipo anglosassone invece sono presenti tutt’ora dal 1730. Infine occorre considerare che le discontinuità nel suo uso furono per lo più dovute a cause esterne, guerre, e non ad un collassamento politico interno.

Si distinguono due principali rami culturali piuttosto che un unica cultura dell’uso del sorteggio in politica, e sono quello di Atene e quello delle repubbliche medioevali Italiane. Tra questi, vi sono molti altri esempi intermedi, in ogni caso è possibile distingure due politiche distinte: quelle che facevano ampio uso del sorteggio in modo sistematico e quelle che lo usavano saltuariamente per occasioni particolari.

In generale il sorteggio ricevette poca attenzione dagli scrittori politici dell’epoca e poco delle conoscenze acquisite in entrambi i rami culturali del suo uso furono tramandate.

Per questo motivo una critica comune al sorteggio, che ancora oggi viene fatta, riguarda l’erroneo aspetto irrazionale del meccanismo di scelta, che in realtà non è né razionale, né irrazionale, in una parola “arazionale”, termine coniato dallo stesso Dowen. Questa falsa credenza accompagna ancora l’uso del sorteggio in politica nonostante che molte delle costituzioni dove il sorteggio era usato fossero molto sofisticate e razionalmente ben organizzate.

Il sorteggio non va considerato in modo isolato, anzi, storicamente fu usato in stretta combinazione con la rotazione (durata temporanea delle cariche) e altrettanto spesso in combinazione con le elezioni piuttosto che in alternativa ad esse, in modo complementare.

Infine, quella che secondo Dowen è la ragione fondamentale dell’uso del sorteggio in politica risulta essere la seguente: quello di inibire il potere che ogni individuo o gruppo di individui potrebbe cercare di esercitare sul processo di selezione.